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Aperitivo, pranzo, cena… sempre! La birra in tavola.
Aperitivo, pranzo, cena… sempre! La birra in tavola.
Diciamo la verità, seppur negli anni molti di noi si siano abituati a bere la birra in ogni contesto, anche da sola, è a tavola che a noi italiani piace degustare i buoni prodotti made in Italy. Quindi vediamo insieme come conservare, servire e abbinare la birra per renderla protagonista dei nostri incontri conviviali.
Avete acquistato la vostra birra, ma non intendete consumarla subito. Come conservarla?
Poche, semplici regole che possono aiutare a preservare le caratteristiche del prodotto anche a casa:
– no fonti di luce diretta
Se una bottiglia di birra viene lasciata all’esposizione diretta di luce intensa come i raggi solari, anche solo per 15 minuti, avviene un processo chimico capace di modificare un precursore che genera un odore intenso e spiacevole, rendendo imbevibile la birra.
– no fonti di calore e sbalzi termici
Gli sbalzi termici possono influenzare aroma e gusto della birra, quindi evitiamo di “stressarla”. Per fare un esempio estremo: non è il caso di conservarla sul caminetto acceso e poi passarla in freezer, perché rischiamo sia l’effetto gushing, che fa fuoriuscire la birra quando la stappiamo, sia di rovinarne la piacevolezza.Quando dobbiamo servire una birra, va scelta la giusta temperatura di servizio, in quanto potrebbe influenzare le sensazioni organolettiche della birra e quindi il nostro abbinamento.
Scegliere la giusta temperatura aiuta a valorizzare la birra, ad apprezzarla. Se serviamo una birra esageratamente fredda rischiamo di intorpidire le papille gustative e di non godere al meglio sia il prodotto che il piatto che gustiamo in accompagnamento.
In generale, si parte da una temperatura di 4/8 °C per le birre chiare e lievemente aromatiche, si sale agli 11/12 °C per le ambrate più aromatiche, fino ad arrivare ai 15/16 °C per alcune birre da meditazione.Oltre la temperatura, dobbiamo saper scegliere anche il giusto bicchiere in cui servirla.
Ogni stile di birra ha il proprio bicchiere, le diverse forme, infatti, hanno la capacità di esaltare o attenuare il ventaglio aromatico.
Poiché è difficile avere decine di bicchieri diversi in casa, il consiglio è di scegliere bicchieri stretti e slanciati per le birre a bassa fermentazione, che ne riducono il contatto con l’aria e la dispersione aromatica, aiutando la creazione del cappello di schiuma; bicchieri più ampi, come il tulipano, il baloon o l’italianissimo Teku, per le birre con più ampiezza aromatica e gustativa. Le birre americane e inglesi, nello specifico, trovano la massima espressione nella pinta.
Infine il bicchiere deve essere ben pulito, infatti è consigliato sciacquarlo sotto l’acqua corrente prima di usarlo, così da rimuovere le eventuali particelle di polvere o i microscopici residui di brillantante o detersivo che potrebbero influenzare la creazione della schiuma.
Come servire la birra in bottiglia?
Posizioniamo il bicchiere inclinato a 45°e, man mano che versiamo il contenuto, lo riportiamo in posizione verticale. Fermiamoci quando abbiamo riempito metà del bicchiere, aspettiamo che la schiuma si faccia più compatta e versiamo la birra restante. Importante è far creare la schiuma (salvo in quegli stili in cui non è prevista), al fine di far liberare l’anidride carbonica in eccesso e creare allo stesso tempo una sorta di “tappo” protettivo dall’ossigenazione.Per le birre con un un fondo di lievito, possiamo decidere se lasciare il residuo in bottiglia senza berlo o versarlo delicatamente alla fine. I lieviti non fanno male! Ma la scelta dipende dai vostri gusti innanzitutto.
Siamo pronti finalmente al nostro abbinamento.
Dopo anni in cui la birra è stata associata solo alla pizza o al cibo “da fast food”, negli ultimi anni la birra a tavola ha trovato una sua nuova identità.
La varietà delle produzioni, i tanti stili esistenti, le diverse sfumature gusto-olfattive delle birre, fanno diventare il prodotto capace di abbinarsi a tutti i piatti della cucina italiana, sia tradizionale che moderna.
A tavola possiamo iniziare e finire con la birra, usandola anche come aperitivo o sostituita al bicchierino di fine pasto.
Per abbinare la birra possiamo scegliere di ispirarci alla tradizione europea e riproporre grandi classici. Un esempio su tutti è sicuramente la tradizione irlandese di abbinare le ostriche con le stout.
Se invece vogliamo percorrere la strada più ricercata, possiamo mettere in pratica la teoria di concordanza o contrapposizione dell’insieme delle sensazioni date dal cibo e dalla birra. Dobbiamo, quindi, conoscere ed analizzare le caratteristiche del cibo ed abbinare le caratteristiche della birra.In breve possiamo agire così.
Quando mangiamo un piatto riscontriamo delle sensazioni ben percepite, che classifichiamo in due grandi macro famiglie: sensazioni morbide e sensazioni dure.
Le sensazioni morbide comprendono la grassezza, l’untuosità, la succulenza, la tendenza dolce e la dolcezza. Le sensazioni dure comprendono la sapidità, la speziatura, l’aromaticità, la tendenza amara e la tendenza acida.
Assaggiamo un piatto e cerchiamo di capire quali sensazioni sono presenti, tra dure e morbide, valutiamo le intensità delle sensazioni, gli aromi sprigionati dal piatto, la struttura generale, la persistenza retrogustativa delle sensazioni. Quando valutiamo un piatto complesso, cerchiamo di concentrarci prima sui singoli ingredienti e poi sulla totalità delle sensazioni che rilasciano nel loro insieme.
Faremo la stessa cosa per la birra, secondo le indicazioni di degustazione che abbiamo dato qualche puntata fa.A questo punto, conoscendo sia il piatto che la birra, possiamo abbinarli cercando il massimo equilibrio per evitare che uno dei due prevalga sull’altro. L’armonia di un abbinamento, inoltre, ci consente di riequilibrare la bocca, preparandola ad un nuovo boccone e sorso.
In linea davvero generale possiamo seguire queste indicazioni che seguono, anche se vi ricordiamo che ogni birra ha sfumature tanto differenti dalle altre che solo la pratica e la conoscenza ci più aiutare a creare l’abbinamento perfetto. O, perlomeno, quello che più soddisfa i nostri sensi!
Birra dolce:
per concordanza con piatti delicati, pasticceria, per contrapposizione formaggi stagionati e cibi piccanti, carni stracotteBirra amara e astringente:
per contrapposizione le fritture e i cibi oleosi, carni dolci e grasse, formaggi a pasta molleBirra acida:
per contrapposizione alimenti grassi, insaccati che lasciano una patina, verdure dal carattere terroso, formaggi erboratiBirra sapida:
per contrapposizione verdure delicate e non terrose, formaggi filanti, pesce bianco grassoBirra speziata:
per concordanza su cibi speziati, ma senza sovraccaricare le sensazioni per evitare di assuefarci o peggio provocare assuefazione alle sensazioniBirra affumicata:
carni alla griglia, salumi stagioni, prodotti caseari affumicati
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La birra IPA e gli USA
Negli anni Ottanta negli USA si ha una vera e propria rivoluzione brassicola, grazie agli appassionati di birra che avevano avuto modo di provare le birre europee e la loro forte personalità.
La storia della birra americana affonda le radici già dalla scoperta del continente, quando con i primi insediamenti delle popolazioni europee arriva anche questo nuovo prodotto, in parte simile alle bevande fermentate di mais di cui si faceva già largo consumo. Un prodotto che si diffonde subito in tutta l’America, conquistando i consumatori e diventando una delle bevande più consumate nei secoli successivi.
L’oscura parentesi del Proibizionismo a inizio Novecento (1920-1933), però, porta ad uno stop della produzione, che va a intaccare i piccoli birrifici di paese e lascia spazio alle grandi industrie per i decenni successivi.
Tra gli anni Sessanta e i Settanta le uniche birre in circolazione erano le lager industriali, leggere e spesso molto omologate nel gusto.
Gli appassionati di birra, stanchi e annoiati di queste produzioni, iniziarono a sperimentare la produzione in casa e ben presto si diffuse la cultura dell’homebrewing, che consentiva a tutti di creare birre casalinge e poter riprodurre gli stili europei
Alcuni di questi homebrewers, successivamente, decisero di fare il grande salto e di aprire i loro microbirrifici, per dare modo a tutti di provare birre sempre diverse. Tra questi fu pioniere nel 1976 la The New Albion Brewery a Sonoma, in California, che seppur durò solamente pochi anni, fu di ispirazione per decine di altri birrai in erba.
Nel corso degli anni Ottanta e per tutti gli anni Novanta, si sono susseguite le aperture di brewpub e birrifici, con produzione di qualsiasi tipo di birre. Sono stati proprio gli americani, infatti, i birrai più innovatori, capaci di ispirarsi al passato tradizionale per creare delle birre con un’identità unica, fatta soprattutto da un abbondante uso dei luppoli.
Una scelta che ha caratterizzato così tanto lo spettro organolettico della birra prodotta al punto di far nascere dei veri e propri nuovi stili.
Nuovi stili di birra americana
L’American India Pale Ale (5.5% – 7.5%) e l’American Pale Ale (4.5% – 6.5%) sono le più note. Luppolatura generosa sia in aroma che in amaro, la American IPA è più secca e decisamente più secca e a volte astringente, la APA conserva gradevoli sensazioni maltate che ne ammorbidiscono il finale.
Da questi due stili ne sono poi nati di conseguenza altri: le scure Black IPA, le Duoble IPA, le ibride Belgian IPA e le versioni caratterizzate da cereali speciali oltre il malto d’orzo. Tra le più recenti hanno fatto tanto parlare le NEIPA, New England IPA, definite anche juicy per la loro opalescenza e le ricche sensazioni di frutta esotica.
Nel panorama americano troviamo anche l’American Barley wine, le American Stout e le American Porter, ispirata alle cugine inglesi ma ben più luppolate in stile made in USA.
Session IPA
Da qualche anno sono entrate in scena anche le Session IPA, che seguono il filone di una gradazione alcolica più contenuta (entro i 5% circa).
Dorate, corpo snello, aromi che richiamano la frutta esotica e/o l’erbaceo, più amare di una APA ma meno intense di un’American IPA. L’equilibrio è la loro forza, e una grande bevibilità le rende perfette per le grandi bevute con gli amici.
E proprio alle serate in compagnia che ci siamo ispirati per la nostra Epic Session IPA, 4,5%, chiara, con un amaro percettibile ma mai invadente, ricca e succosa grazie ai sentori di agrumi, frutta gialla esotica e un gentile erbaceo. Ideale nelle giornate a mare, ma di ottima compagnia nei pomeriggi invernali per un aperitivo o davanti alla tv.
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La birra Keller e la Germania
La Germania è una pietra miliare della storia della birra. È conosciuta in tutto il mondo per la vasta produzione di birre a bassa fermentazione, ma anche la patria di un paio stili molto particolari, caratterizzati da ingredienti inusuali come il malto affumicato e il sale.
Le birre tedesche si distinguono soprattutto per due caratteristiche fondamentali: la nitida identità organolettica e la grande bevibilità.
Qui, sia per effetto del Reinheitsgebot, l’Editto di Purezza, sia per una “abitudine” maturata nel tempo, come quella di propendere per la bassa fermentazione, ci si trova di fronte a uno scenario per cui, ad esempio, l’utilizzo di spezie è decisamente marginale.
Le birre tedesche
Il cuore batte per la bassa fermentazione, come detto e con le giuste eccezioni, ma la cosa più intrigante di questa nazione è vedere come le città storicamente legate alla birra abbiano uno stile rappresentativo.
Facciamo un veloce viaggio in Germania, quindi, per capire meglio questa nazione brassicola.
Non si può che iniziare dalla Baviera. Qui nasce il famoso Oktoberfest, la festa simbolo della birra. Organizzata per la prima volta nel 1810 per celebrare le nozze del principe ereditario Luigi, è diventata nei decenni successivi un fenomeno di massa che attira gente da tutto il mondo.
A questo evento è legata la Märzen, a bassa fermentazione, 6% di alcol e colore ambrato. Tradizionalmente erano le ultime birre prodotte in primavera (a marzo, come lascia intendere il nome), alla fine della stagione brassicola e ai primi segnali dell’innalzamento delle temperature. Venivano conservate in grotte fredde e consumate durante tutta l’estate, fino a settembre, quando si riapriva il periodo di produzione.
In Baviera si producono anche le Münchner Hell e le Pils. Birre chiare, che si differenziano soprattutto per l’amaro durante la bevuta, più evidente nelle pils. Le Münchner in versione ambrata diventano Dunkel, caratterizzate dalle sensazioni tostate del malto.
Nella città di Einbeck in Bassa Sassonia, invece, troviamo la grande famiglia delle Bock. Inizialmente nominate Einbeck, Einbecker, nel tempo si sono contratte in Bock: nomen omen! La parola, infatti, si riferisce al “caprone” ed esprime la forza alcolica di queste birre, che parte da 5,5% e può superare i 7%. Vanno dall’ambrato allo scuro, con aromi dolci, gusto morbido (contrassegnati da una netta impronta di malto) e grande corposità, alle dorate e altrettanto morbide e piacevoli nella bevuta (Helles Bock). Tra le versioni più alcoliche troviamo le Doppelbock.
A Dortmund in Renania nascono le Dortmunder, caratterizzate dell’acqua della città ricca in sali minerali, chiare e di moderata gradazione alcolica.
Nere come la pece sono invece le Schwarzbier, di medio-bassa gradazione, dominate da sentori torrefatti ma molto bevibili grazie anche al corpo leggero.
Sono scure e anche affumicate le Rauchbier, che troviamo declinate in vari stili come Lager, Märzen, Bock, Doppelbock e Weizen, native della città di Bamberga. La loro caratteristica principale è l’uso di malto essiccato a fuoco di legna, che dona sensazioni di affumicato predominanti, spesso vicine allo speck.
Per le birre ad alta fermentazione dobbiamo citare un simbolo tedesco, la Weissbier o Weizenbier, prodotte con almeno il 50% di frumento maltato e caratterizzate dal lievito, che lascia sensazioni fenoliche come il chiodo di garofano. Si suddividono in Hefe Weizen, Kristall Weizen, Dunkel Weizen e Weizenbock a seconda delle loro caratteristiche.
Al confine con il Belgio troviamo Colonia e Düsseldorf, entrambe con la propria birra cittadina. A Colonia si serve Kölsch (chiara, 5%, con sentori fruttati) a Düsseldorf Alt (ambrate, con moderata carbonazione, ben bilanciate tra malto e luppolo).
Se siete appassionati di birra ve ne sarete già accorti, manca qualcosa di ben noto!
La birra Keller
Quel che manca in questa carrellata sono sicuramente le Keller.
Nascono nella parte nord della Baviera, nella regione storica della Franconia, il nome significa cantina, in quanto lì venivano conservate e spesso anche consumate dalle compagnie di amici.
Il colore può variare dal dorato all’ambrato chiaro, con aspetto velato dovuto all’assenza di filtrazione. I lieviti le arricchiscono di gusto, seppur alla base siano caratterizzate da una storica rusticità, e la luppolatura la rende molto bevibili.
La nostra Keller Loop
A queste birre ci siamo ispirati per la nostra Keller Loop, 4,5% vol.
Chiara, con sentori rustici del malto e un finale secco e dissetante, grazie alla luppolatura di stampo tedesco. Corpo leggero, da bere in ogni momento della giornata e in ogni stagione… anche mentre si fa surf o si addobba l’albero di Natale.
Provare per credere!
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La riscoperta delle birre Gose
Se la birra Gose non si è persa nell’archeologia birraria, diciamolo, è anche merito dell’Italia.
La birra salata, originaria di Goslar ma conosciuta da tutti grazie a Lipsia, ha rischiato l’estinzione, ma ha ritrovato nuovo vigore grazie a un testardo publican di Lipsia e alla sua diffusione in altre nazioni, principalmente in Italia.
Birra Gose – lo stile
Lo stile nasce a Goslar, in Bassa Sassonia, e il nome deriva dal fiume Gose che attraversa la città. Sin dalla fine del I secolo d.C. Goslar era nota per essere un importante centro minerario, con cave di metalli preziosi e di sale, che influivano anche sulle acque cittadine, in quanto i minerali e i sali si riversavano nelle falde acquifere. Anche i birrai locali usavano quelle acque per la produzione, dando vita a birre con evidenti note sapide.
Ma seppur i natali siano a Goslar, la città che ha dato notorietà allo stile è sicuramente Lipsia (a 200 km di distanza), dove questa birra si diffuse quando i giacimenti d’argento di Goslar si esaurirono e gli abitanti, birrai compresi, migrano verso altre città della Germania.
Le prime testimonianze storiche scritte delle birre Gose a Lipsia le abbiamo nel 1738: a quell’anno risale, infatti, la più antica licenza di vendita rilasciata dal Comune di Lipsia per la produzione di questa birra, che ben presto divenne così legata alla città al punto da portare il comune di Goslar a bandirne la produzione nel 1826, in favore di stili ritenuti più redditizi per l’economia locale.
Per tutta la prima metà dell’Ottocento la birra Gose fu la birra popolare di Lipsia, servita in più di 80 locali di mescita. La sua diffusione però fu interrotta dalla seconda Guerra Mondiale e purtroppo nel 1945 l’unico produttore ancora in attività, la Döllnitz Ritterguts Brauerei, fu sequestrato e chiuso definitivamente.
Cinque anni dopo lo stile fu salvato e rimesso in produzione dal piccolo birrificio Friedrich Wurzler Brauerei, che riuscì a mantenere viva la tradizione fino al 1966, giorno in cui anche il figliastro di Friedrich Wurzler, che aveva preso in mano la gestione dopo il suo decesso, morì e la produzione si interruppe del tutto. A quel punto lo stile poteva dirsi morto, ma un lungimirante publica di Lipsia, Lothar Goldhahn, si appassionò all’argomento in seguito a un articolo pubblicato su un giornale locale nel 1983, che evocava gli antichi fasti delle Gose, e decise di intraprendere un lavoro di ricerca per recuperare lo stile e far riaprire lo storico locale di mescita Ohne Bedenken.
Per riportare in produzione lo stile, Goldhahn riuscì a rintracciare un vecchio dipendente della Friedrich Wurzler Brauerei, che conservava ancora appunti sulla ricetta della birra, e nel 1986 riuscì a convincere la Berliner Schultheiss-Weisse-Brauerei a metterla in produzione. Da quell’anno Ohne Bedenken ricominciò a servire la Gose a Lipsia, anche se la domanda non era così proficua. Dopo un invano tentativo di avviare in proprio la produzione, nel 1995 Goldhahn si accordò, invece, con Andreas Schneider Brauerei a Weissenburg, in Bavaria, dando una svolta alla produzione e riuscendo finalmente nel suo intento.
Il proprietario del birrificio ne rimase talmente affascinato da decidere di aprire nel 1999 il Bayerischer Bahnhof a Lipsia, locale specializzato nella produzione e servizio della Gose.
Sull’onda di questa apertura, nel 2002 un discendente dei vecchi proprietari decise di salvare e riportare in vita anche la Döllnitzer Ritterguts Gose.A quel punto lo stile era finalmente e definitivamente salvato, e negli anni successivi si è avuta una sempre più ampia diffusione, che ha coinvolto birrifici di tutto il mondo, soprattutto italiani.
L’evoluzione delle birre Gose
La ricetta della Gose, naturalmente, nel corso degli anni si è evoluta. Mentre a Goslar i birrai avevano già un’acqua salata con cui dover “combattere” per rende equilibrata e piacevole la birra e ottenevano le note suor grazie alla fermentazione in botte con lieviti selvaggi, l’esportazione dello stile a Lipsia mise i birrai di fronte alla necessità di riprodurre le caratteristiche di quell’acqua con aggiunta di sale e di perfezionare e stabilizzare la produzione con l’uso di lactobacilli.
Alta fermentazione, uso abbondante di frumento, uso di coriandolo e di sale, poco luppolo, lievito poco caratterizzante (soprattutto senza produzione di eccessivi esteri), acidità lattica, corpo esile e grado alcolico basso, sono le caratteristiche principali di questa birra dalla grande bevibilità che ha conquistato i consumatori italiani.
Quando la degustiamo si notano subito le note di cordiandolo, seguite da una elegante sensazione citrica e lattica. Il sorso è dominato dalla sapidità affiancata dalla nota acidula dei lactobacilli, che insieme sono capaci di dare equilibrio e rendere molto piacevole la birra.
La Gose del Gargano
Per la nostra produzione abbiamo deciso di seguire due vie, aggiungendo alla tradizione un tocco di identità locale, come sempre nelle nostre produzioni:
- Gose del Gargano, che assieme al sale marino, ai batteri lattici e al coriandolo ha nel suo cuore la scorza fresca di limone del Gargano Igp, il più antico limone locale, che le conferisce una nota fresca e dissetante. Con i suoi alc. 4,8% vol è la compagna ideale per la bevuta quotidiana!
- Wild Gose, un’evoluzione in botte della Gose del Gargano. Matura per 3 mesi in rovere francese di secondo passaggio, in cui era stato maturato il Fiano bianco irpino, prende dal legno complessità ed eleganti note vinose. Durante l’affinamento aggiungiamo le albicocche fresche, che donano complessità aromatica, un gusto più intenso e completano il quadro organolettico dando un’ulteriore nota fresca e dissetante a questa birra. Ciliegina sulla torta i suoi alc. 4,5% vol.
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Le birre Stout
Cosa sarebbe la Gran Bretagna senza la birra?
La vita e la storia degli abitanti, del Regno Unito soprattutto, sono state caratterizzate dalla presenza della birra. Dalla grande isola sono partite nei secoli birre e ispirazioni che hanno cambiato le sorti (brassicole) di altre nazioni.
Per i consumatori del luogo la birra è convivialità, l’appuntamento di rito di fine giornata, la meta ambita del venerdì sera, la routine quotidiana.
Le birre inglesi
C’è solo l’imbarazzo della scelta: in GB sono tanti gli stili tradizionali, che spaziano in colori e gradazioni alcoliche.
Le Mild, ad esempio, sono di basso tenore alcolico (sotto i 4%) e colore scuro, gusto appena tostato, accenni di fruttato; le Bitter, alternativa alle precedenti, hanno bassa gradazione, ma sono più amare e di grande bevibilità.
Le Pale Ale, invece, che già dal nome si identificano come “birre pallide”, ma in realtà nate come ambrate, sono caratterizzate da una luppolatura elegante e non estrema, gradazione di 5% e grande equilibrio organolettico. Da queste birre nasce uno degli stili più famosi, le India Pale Ale, IPA, che si è ampiamente diffuso in Italia e i tutto il mondo negli ultimi anni. Era una Pale Ale destinata alle colonie inglese in India, prodotta con più alcol (min 6%) e luppolo, al fine di conservarsi durante i lunghi viaggi per mare.
In contrapposizione alle pale c’erano le Porter, scure e impenetrabili. La narrazione diffusa sull’origine di questa birra, ovvero ispirata all’usanza di miscelare di tre birre dalle diverse caratteristiche, è uno dei primi casi di storytelling per una birra, perché unisce realtà ad una buona dose di creatività di chi l’ha narrata. La Porter, comunque, è uno degli stili più importanti della storia brassicola anglosassone, fortemente legata all’evoluzione sociale. Nasce a Londra all’inizio del XVIII secolo come birra alcolica e luppolata, prodotta interamente con malto scuro (più economico) spesso anche con note di fumo, che si perdevano poi grazie ad una lunghissima maturazione. Poteva essere fermentata a temperature più alte e in vasche più grandi delle altre birre, quindi poteva anche essere prodotta durante tutto l’anno a costi moderati e di conseguenza venduta a prezzo più basso delle altre. Per questo diventa ben presto un prodotto popolare, spesso consumata dai facchini Londra, conosciuti anche come porter o ticket porter, da cui poi ha preso il nome. I birrifici erano soliti vendere ai pub due tipi di porter, una più invecchiata ed una più giovane, da miscelare direttamente nel pub per rendere la birra finale più equilibrata e beverina. Nel tempo la porter cambiò a causa della miscelazione con malti più chiari, diventando più secca al gusto, ma acquistando così ancor più bevibilità. Ora le porter sono birre scure, il cui colore a volte ricorda l’ebano, di corpo medio, con note torrefatte e di frutta secca.
Le birre stout
Dall’ispirazione delle porter nascono le Stout, diffuse soprattutto in Irlanda, che ne definivano una versione più alcolica e scura. Nella loro evoluzione si sono declinate in varie versioni che partono da 4% per arrivare ad importanti gradazioni.
Vediamo una carrellata dei sotto-stili:
- Irish Dry Stout: figlie delle porter londinesi, le Irish stout sono un simbolo dell’Irlanda. Scure e impenetrabili, schiuma cremosa color cappuccino, secche ed amare con decise note di fondo di caffè e liquirizia.Milk Stout: birre scure addolcite con lattosio, caratterizzate da decise note di cioccolato e di caffè d’orzo.
- OatmealStout: simile alle milk stout, le oatmeal stout, che prendono il nome dall’avena impiegata tra gli ingredienti, si presentano più ricche e complesse nell’olfatto e più corpose e vellutate nel palato.
- Imperial Stout: così chiamate per il successo che ottennero nell’Ottocento presso la corte degli zar, le Imperial Stout (o Imperial Russian Stout) sono forti e luppolate in quanto dovevano superare lunghi viaggi verso i freddi paesi baltici senza ghiacciare. Grado calcoli che parte dai 7 gradi e può superare i 10, eleganti nell’olfatto con note di prugna cotta e di caffè mentre nel palato si presentano vinose, ricche di fruttato, uva sultanina e frutta secca in genere, con decise punte di caffè, di liquirizia e di affumicato.
- Chocolate e Coffee Stout: birre di varia gradazione alcolica ma sempre caratterizzate da profumi e sapori di cioccolato e caffè, conferiti dall’utilizzo di malti scuri e all’aggiunta di cioccolato o di caffè.
La Portogalla, la nostra birra stout del Gargano
La nostra Portogalla si ispira proprio alle Chocolate Stout e nel suo caldo cuore nero custodisce la scorza d’arancia del Gargano IGP, arancia candita e naturalmente fave di cacao. Vi conquista con un sorso avvolgente e morbido, arricchito dalla sensazioni tostate ben bilanciate dagli aromi di agrumi, che vi fa dimenticare dei suoi ben 8 gradi alcolici.
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Le birre Saison
[:it]Facciamo subito chiarezza: cosa è lo stile di una birra?
In sintesi possiamo semplificare con questa affermazione: gli stili rappresentano gruppi di birre con una ricetta comune e caratteristiche organolettiche simili.
Negli elenchi degli stili del BJCP (USA) e dell’EBCU (Europa) troviamo per ogni stile una descrizione relativa al colore, alla schiuma, agli aromi tipici, alle sensazioni gustative e retrolfattive, alla gradazione alcolica.
La scheda di uno stile di birra è paragonabile alla ricetta di un piatto: sappiamo gli ingredienti da usare e le caratteristiche che deve avere il piatto/birra finito.
Dopo aver parlato delle birre blanche, oggi ci soffermiamo sulle Saison.
Le birre Saison
La storia delle birre Saison è complicata da ricostruire e affermare con certezza una definizione per queste birre non è facile.
Il termine si riferisce a birre prodotte in diverse zone, nei territori dell’Hainaut e della Vallonia, che avevano la caratteristica comune di essere destinate alla conservazione.
Birre dalle origini rurali, brassate nei birrifici di campagna durante i mesi invernali, quando il lavoro agricolo era meno intenso e le temperature fresche, con le materie prime a disposizione della fattoria. Venivano conservate per tutto l’anno, consumate solo nel luogo di produzione (raramente venivano commercializzate nelle taverne dei paesi vicini al birrificio), spesso durante il lavoro sui campi nei mesi estivi e destinate ai saisonniers, i lavoratori agricoli stagionali.
Le birre saison sono birre fresche, poco alcoliche, spesso speziate e discretamente amarognole, un tempo anche acidule.
Le prime testimonianze scritte sono di G. Lacambre nel suo Traité complet de la fabrication des bières 1851, in cui racconta di birre prodotte durante la stagione brassicola (novembre-marzo) con la caratteristica di essere più alcoliche e più luppolate (due fattori con effetti conservanti) per poter maturare durante l’estate.
Storicamente i periodi di produzione erano due:
- marzo per la saison d’été (la più diffusa),
- in occasione dell’Avvento per le bières des Avents o d’hiver (meno diffusa).
Le materie prime delle Saison
Le materie prime utilizzate erano diverse e legate alla disponibilità del momento all’interno dell’azienda agricola.
Per quanto riguarda i cereali, veniva coltivato l’orzo esastico e maltato nella fattoria (si otteneva un malto scuro o ambrato dopo l’essiccazione) e spesso usati altri cereali come frumento, avena, segale, farro. In alcune saison erano usati anche grano saraceno e fave.
Si amaricavano con luppolo autoprodotto, spesso era usato anche luppolo vecchio che alimentava il proliferarsi di batteri lattici.
Anche l’acqua aveva influenza nella produzione di questa birra, infatti nella zona dell’Hainaut è dura, ricca di solfati e bicarbonati, che intensificavano l’amaro. Venivano usate spesso aromatizzazioni, che variavano secondo la disponibilità del birrificio. Spezie ed erbe soprattutto, aggiunte con moderazione, al fine di migliorare delicatamente il sapore (e compensare il gusto quando il luppolo era particolarmente di bassa qualità).
Produzione delle birre Saison
La produzione seguiva i canoni classici, ma la fermentazione era mista e i lieviti usati potevano variare ad ogni cotta. Il lievito veniva “recuperato” dalla precedente produzione e i lieviti selvaggi contribuivano alla creazione dell’identità di ogni birra.
La fermentazione avveniva tradizionalmente in botti di legno non trattate internamente con la pece, da inizio ‘900 in tini metallici, a temperatura che andavano dai 18 ai 25 gradi. Anche la maturazione avveniva in botti di legno in cantina, riempite fino all’orlo e spesso rimboccate durante le settimane. Le temperature erano tra i 10 e i 15 gradi, che a lungo andare consentiva anche la chiarificazione.
Nei campi i saisonniers portavano la birra in barilotti, che veniva poi servita con delle brocche di ceramica.
Con l’avvento dell’uso delle bottiglie, i lavoratori iniziarono l’usanza di sotterrare le bottiglie al fresco per recuperarle al momento della pausa. Nelle taverne, le poche che potevano avere queste birre, venivano spedite le botti e la birra era servita ai clienti in brocche. Spesso anche miscelata con birra giovane per ravvivare la fermentazione.
Con l’inizio del 900 e soprattutto dopo la II Guerra Mondiale, i birrifici nelle fattorie iniziano a scomparire, lasciando spazio a birrifici a tutti gli effetti.
La trasformazione delle Saison
Le birre Saison, già alla fine dell’Ottocento, dovette però affrontare l’arrivo della concorrenza dall’estero. Così iniziò la loro trasformazione:
- aumento di gradazione alcolica,
- perdita di amaro e acidità,
- rifermentazione in bottiglia (così potevano essere invecchiate anche dai privati),
- in molte versioni perdita della spaziatura,
- standardizzazione del lievito usato e delle temperature,
- minore maturazione e produzione tutto l’anno.
Oggi a dettare i canoni dello stile moderno è la Saison di Dupont – birrificio fondato nel 1920 ma che affonda le sue origini su una ricetta del 1844, ma sono tantissimi i birrifici che hanno inserito nella propria gamma questa birra. Apprezzata dai consumatori di tutto il mondo, consente birraio di esprimere la propria filosofia di produzione.
La Saison del Gargano
La nostra Saison del Gargano si ispira alle saison rurali delle origini:
- carattere rustico,
- alcol moderato (5,6%),
- spezie della nostra terra,
- grano antico Saragolla.
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La birra Blanche e il Belgio
[:it]Il Belgio è una delle nazioni simbolo della birra, narra una lunga storia che passa dalle fattorie ai monasteri trappisti, dal fascino della fermentazione spontanea all’abbinamento conviviale a tavola.
Quando si parla di Belgio vengono in mente subito due ingredienti: il lievito e le spezie. Il primo capace di caratterizzare le birre che vengono qui prodotte, il secondo per l’uso che ne viene fatto soprattutto in uno stile, la Blanche.
Cercando di fare una panoramica stilistica della regione, sicuramente bisogna partire dalla tradizione monastica che è diventata un vero e proprio simbolo della produzione.
Cosa si intende per Birra Trappista
Quando identifichiamo una birra come Trappista, intendiamo una birra prodotta dai monaci trappisti all’interno dei loro monasteri.
Attualmente le abbazie trappiste che producono birra sono tredici in tutto il mondo: 6 in Belgio, 2 in Olanda, 1 in Austria, 1 negli Stati Uniti, 1 in Italia, 1 in Spagna e 1 in Francia.
Le birre trappiste si riconoscono dal logo esagonale Authentic Trappist Product (“Autentico Prodotto Trappista”, registrato nel 1962 al tribunale di Gent), che garantisce a chi le acquista il rispetto di tre regole nella produzione:
- la birra è prodotta all’interno delle mura di un’abbazia trappista;
- le regole di produzione sono dettate dalla comunità monastica, che garantisce e controlla tutto il processo;
- il profitto della vendita delle birre è diretto al sostentamento dei monaci e alla beneficenza, non al guadagno economico.
Birra Trappista: gli stili
Ai monaci trappisti si deve la nascita e lo sviluppo di diversi stili, ma sicuramente quello che più le rappresenta è la Tripel, birra dalla grande gradazione alcolica, nata nel monastero di Westmall.
Da ricordare sicuramente la più originale – e unica – birra Orval, prodotta nell’abbazia di Abbazia di Notre Dame d’Orval, generosamente luppolata e caratterizzata da un ceppo di lievito brettanomyces che le conferisce il tipico “gusto Orval”.
Tra gli stili citiamo anche la Dubbel, ambra, complessa e mediamente alcolica, con nette note di malto, caramello ed esteri fruttati che tornano anche nel sorso.
Birre Trappiste VS Birre di Abbazia
Le birre trappiste, quindi quelle “con il marchio”, non vanno confuse con le Birre di Abbazia. Queste ultime sono una tipologia estesa di birre prodotte in birrifici laici esterni alle abbazie seguendo ricette di origine monastica.
In Belgio si producono una vasta gamma di Strong Ale sia chiare (Belgian Strong Golden Ale, in generale con aroma fruttato, corpo medio e alto tenore alcolico) sia scure (Belgian Strong Dark Ale, in generale con aroma caramello, malto torrefatto e frutta sotto spirito).
Nella zona delle Fiandre nascono le Oud Bruin e le Flanders Red Ale, a fermentazioni mista, caratterizzate dalle note acidule che virano verso il lattico e l’acetico. Mentre nell’area del Pajottenland (dal quartiere Anderlecht di Bruxelles lungo la valle che segue il corso del fiume Senne) viene prodotto il Lambic, birra a fermentazione spontanea, senza aggiunta di lieviti selezionati, inoculata naturalmente dai microrganismi presenti nell’aria, prodotte con malto base e frumento non maltato, luppolo invecchiato, fermentante in botti usate che hanno contenuto altre bevande alcoliche.
Birra Blanche
Infine eccoci alla Blanche (witbier in fiammingo), la regina delle spezie. Birra prodotta con circa il 50% di frumento miscelato al malto d’orzo, con aggiunta di coriandolo e di scorza di arancio amaro.
Nata nel Medioevo in un paesino vicino a Loviano di nome Hoegaarden, dove si produceva birra già dal 1318. La nascita dello stile si deve ai Begardi, predicatori erranti che vivevano in povertà. Quando si stabilirono ne paese cominciarono produrre birra coinvolgendo i contadini della zona. Nel 1800 avevano dato vita a 35 birrifici in un paesino di poco più di 2000 anime.
Purtroppo la Rivoluzione Francese, con la devastazione che ne seguì, decimò i birrifici esistenti e nel 1955 se ne contavano solamente due ancora in possesso della ricetta originale della Blanche. A salvare lo stile fu un lattaio texano di nome Pierre Celis, vicino di casa di uno dei due birrai resilienti, che nel 1965 decise di riprendere in mano la produzione di questo stile creando la Celis Brouwerij e riproponendo la ricetta tradizionale. Purtroppo per soli due anni, perché un incidente fece prendere fuoco al birrificio interrompendone l’attività, ma la ricetta era ormai salva e altri birrifici, nel corso del tempo, hanno ripreso la produzione dando una nuova e lunga vita alla birra bianca.
Blanche del Gargano
Sono tanti, infatti, anche i birrifici italiani che producono questo stile e noi, forti del nostro legame al territorio, uno dei cuori pulsanti in Italia della produzione di agrumi, abbiamo deciso di creare la Blanche del Gargano, da 5,1% gradi alcolici.
Nella nostra birra usiamo grano duro Senatore Cappelli, che le conferisce una leggera acidità molto rinfrescante nel sorso, scorza d’arancio del Gargano IGP e un tocco personale dato dalle zagare.
Aroma floreale e agrumato, luppolatura delicata, corpo agile, la rendono dissetante e compagna perfetta di un aperitivo o abbinamenti gastronomici.
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[:it]MEET THE ARTIST, LORENZO TOMACELLI [:]
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Ciao Lorenzo, raccontaci in breve le tue esperienze!
Sono Lorenzo Tomacelli, 28 anni e Dottore in Storia dell’Arte. La mia passione per l’arte e il disegno nascono già durante l’infanzia. Da anni ormai lavoro come illustratore e ho avuto modo di collaborare con festival pugliesi come “Chiù fa notte e chiù fa forte” (2016), “Calici nel Borgo Antico di Cerignola” (2014-2018) e la ”Fiera del Libro di Cerignola” (2014-2016), ho lavorato con molte aziende del mondo del food realizzando etichette destinate sia al vino sia alla birra e ho illustrato copertine di libri come ”Attentato al Piccolo Principe” di Adelmo Monachese e “La terra dei giganti” di Francesco Gasbarro.Le mie fonti d’ispirazione sono la mia terra, i suoi vigneti e il profumo della carta nuova. Con i miei disegni, nei quali prevale la deformazione di alcuni aspetti della realtà, provo a far rivivere le storie e le tradizioni delle culture passate, reinterpretando la vita in chiave di realismo magico. Le mie tecniche preferite sono i pastelli e la pittura ad olio, ma utilizzo anche le nuove tecnologie digitali, integrando queste ultime ai materiali tradizionali. Vivo e lavoro fra Cerignola, dove sono cresciuto, e Bari.
Com’è nata la tua collaborazione con Birra del Gargano?
Sono stato contattato da Vincenzo Ottaviano, che mi ha chiesto di creare le etichette per il suo nuovo progetto di birra artigianale. Ci siamo incontrati nel mio studio e ci siamo intesi subito. Gli piacevano molto i miei disegni ed il modo in cui utilizzo i colori. Il mio stile pittorico si adattava perfettamente a ciò che Vincenzo aveva in mente e desiderava per la sua birra: un perfetto connubio tra territorio e innovazione.
Era sicuro che insieme avremmo creato un brand di successo, il resto è sotto gli occhi di tutti.Parliamo di processo creativo, com’è nata la prima etichetta Bianca del Gargano?
La creazione della prima etichetta è stata una sfida. Bisognava esaltare il prodotto, coniugando il territorio con la birra.
Vincenzo mi ha fornito alcune indicazioni su cosa volesse rappresentare.
Un paesaggio garganico ispirato ad un luogo reale: un orto tutt’ora esistente nella baia di Peschici.
Al posto dei vegetali abbiamo inserito un agrumeto, i colori dell’estate e la figura femminile di Bianca.
La donna si ispira alle storiche pubblicità dei commercianti di agrumi del Gargano nelle quali erano raffigurate donne vestite in abiti tradizionali con cesti d’arance e limoni.
Infine ho semplificato l’immagine, eliminando tutti gli elementi che potessero distrarre dal messaggio, in modo che il risultato finale fosse di grande impatto.
Eccovi il bozzetto originale.Oltre a tanto territorio, c’è qualche aspetto storico del Gargano richiamato nell’etichetta?
I riferimenti storico-artistici si riscontrano soprattutto nei gioielli del Gargano che la donna indossa. Pur non avendo ancora l’immagine completa, ho voluto sin da subito inserire gli splendidi manufatti dell’oreficeria locale. Gli orecchini cosiddetti “a campana”, tipici di Monte Sant’Angelo e San Marco in Lamis sono quelli che hanno catturato di più la mia attenzione. Tali oggetti sono un’eredità del mondo romano e bizantino (come suggerito da Anna Maria Tripputi e Rita Mavelli nel libro “Ori del Gargano”, edito da Grenzi editore) e venivano indossati dalle giovani e dalle signore in occasione delle festività più importanti del paese. Fino almeno a metà del secolo scorso erano esibiti con orgoglio perché simbolo di ricchezza e prosperità. Solitamente si trattava di doni del fidanzato alla futura sposa. Altro elemento che compare nell’illustrazione è lo spillone da testa, sempre parte del corredo delle donne.
L’immagine è tratta dal libro “Ori del Gargano” edito da Grenzi Editore, a cura di Anna Maria Tripputi e Rita Mavelli.Grazie Lorenzo per questa breve intervista, a presto!
Grazie a voi. Concludo dicendo che sono molto fiero che i miei disegni siano apprezzati e che i riferimenti siano capiti. Sapevo che le etichette avrebbero dovuto rappresentare un territorio ricco ed accogliente. Oggi mi rendo conto che l’immagine parla da sé, descrivendo tutto quello detto finora.Trovate i lavori di Lorenzo sulla sua pagina FB
https://www.facebook.com/lorenzotomacelliarteeillustrazioni/ -
[:it]PORTOGALLA STOUT, LA NUOVA BIRRA DI NATALE[:]
[:it]Portogalla è la nuova birra del progetto gipsy brewing di Birra del Gargano.
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Per il nome ci siamo ispirati dal greco antico “portokàlos” e dall’abitudine dialettale del sud di chiamare le arance Portajalle.
Una chocolate orange stout morbida ed avvolgente, 8 gradi alcolici, arricchita con scorza d’arance candite, scorza d’arance del Gargano IGP e fave di cacao.
Al palato note tostate di ciccolato e caffè, le scorze d’arancia ed il luppolo Mandarina Bavaria un gentile aroma d’agrumi.
Prodotta in casa di Ebers a Foggia con la collaborazione del birraio Vincenzo Cillo, che ne ha messo a punto la ricetta, e sarà presentata il 7 dicembre al bar pasticceria Pizzicato a Vico del Gargano dalle ore 18.
Nell’occasione verrà presentato Il Panettone artigianale alla Birra prodotto dai maestri pasticceri del Pizzicato.
Dal gusto tradizionale, soffice e profumato, arricchito dall’aggiunta di birra artigianale Portagalla Stout, prodotto in tiratura limitata, soltanto 200pz.
Potete ordinarlo online sul nostro e-commerce o prenotarlo presso il bar pasticceria Pizzicato, non fatevelo scappare![/vc_column_text][/vc_column] -
[:it]BIRRA DEL GARGANO A VINITALY 2019 [:en]Birra del Gargano approda al Vinitaly 2019[:]
La Birra del Gargano approda per la prima volta al Vinitaly, la più grande esposizione al mondo del vino e dei distillati, in programma a Verona dal 7 al 10 aprile 2019, fiera internazionale che da oltre 50 anni annovera fra i suoi espositori anche i più importanti produttori di birra italiani e internazionali.
L’ambizioso progetto di “beerfirm itinerante” quindi, debutta tra gli espositori della più attesa manifestazione del settore, per presentare le raffinate produzioni artigianali del brand pugliese al vasto ed eterogeneo pubblico internazionale della 53^ edizione dell’evento veronese.
Un traguardo importante per il lancio ufficiale dell’originale produzione del marchio Birra del Gargano, realtà in rapida crescita, nata dalla passione per l’arte brassicola del giovane imprenditore Vincenzo Ottaviano, che dopo la lunga esperienza nel campo della ristorazione – maturata nel ristorante di famiglia Il Trabucco da Mimì di Peschici ( FG), tra i più rinomati della costa del basso Adriatico– ha ideato questo creativo progetto di ricerca e sperimentazione nel campo delle birre artigianali realizzate con ingredienti tipici del territorio e la collaborazione di affermati mastri birrai.
Per conoscere la collezione Birra del Gargano al Vinitaly, kermesse che quest’anno si appresta ad ospitare oltre 4.600 aziende provenienti da 35 paesi del mondo ed è già sold out, l’appuntamento è al Padiglione SOL&AGRIFOOD STAND C-46.
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