• 7 miti da sfatare sulle birre

    [:it]Quante volte avete sentire dire “Dammi una bionda” per chiedere una birra?

    Eppure, cari amici, questa terminologia così diffusa è davvero errata quando parliamo della nostra bevanda preferita! Purtroppo sono tanti i termini errati e gli usi e costumi sbagliati che ruotano intorno alla birra. In questo nostro appuntamento cerchiamo, quindi, di sfatare i principali falsi miti.

    1 La bionda non esiste

    Come abbiamo visto nella degustazione, la bionda e la rossa non esistono come definizione di una birra. Questi termini sono nati nelle prime azioni di marketing dedicate al prodotto, ma quando vogliamo definire le categorie di colore della birra, possiamo dire:

    • chiara,
    • ambrata,
    • scura.

    2 Dammi una doppio malto!

    Se chiediamo al pub una “doppio malto”, in verità non stiamo definendo nessuna caratteristica organolettica della birra, se non la sua categoria di vendita.

    Nella legge n.1354 del 1962 in Disciplina igienica della produzione e del commercio della birra, le birre in commercio vengono divise in base alla loro gradazione. Così nasce una classificazione che vede le birre divise in:

    • birra analcolica,
    • birra leggera,
    • birra,
    • birra speciale,
    • birra doppio malto.

    Per la legge “la doppio malto” è semplicemente una categoria di vendita che classifica quelle birre che hanno sviluppato un grado alcolico superiore a 3,5% vol e un grado saccarometrico oltre 14,5 plato. Per produrla non ci sarà voluto davvero il doppio del malto di un’altra birra, né sarà per forza una birra “rossa e dolce”, come troppo spesso si pensa.

    3 Senza schiuma, ghiacciata e… con la pancia gonfia.

    Da dove iniziare? Bere birra ghiacciata non porta niente di buono perché anestetizza la bocca, inibisce i recettori gustativi e tattili, non ci fa sentire nessun sapore. E, diciamolo, potrebbe anche farci venire una congestione!

    Ogni birra ha la sua temperatura di servizio che ne esalta le caratteristiche, sia a livello aromatico che gustativo, e dobbiamo rispettarla per poter assaporare al meglio il prodotto e soprattutto rispettarlo.

    Per quanto riguarda la schiuma è importante servire una birra con la corretta formazione del cappello di schiuma, perché preserva la birra dal contatto con l’aria e manda via l’anidride carbonica in eccesso, che altrimenti resterebbe all’interno della birra, dandoci poi una spiacevole sensazioni di gonfiore.

    Quindi, se ben versata, la birra non ci darà la sensazione di pesantezza e gonfiore.

    4 Le birre scure sono pesanti da bere

    Altro falso mito! Il colore non determina la bevibilità della birra, ci sono stili ambrati e scuri che hanno caratteristiche di facilità di beva, poca gradazione alcolica e sensazioni dissetanti, così come birre chiare che sono intense in aroma, alte di gradazione e sostanziose nel corpo.

    5 La birra scade

    Non provate a buttare via una birra che ha superato la data indicata in etichetta!

    La birra per legge non scade, ma ha un TMC, termine minimo di conservazione, ovvero la data entro cui il birraio assicura che il prodotto preserva le proprie caratteristiche organolettiche e nutrizionali. Viene espresso con la formula “consumarsi preferibilmente entro…” seguita dall’indicazione di giorno/mese/anno e quando si supera quella data, la birra può essere tranquillamente consumata.

    Nelle birre che superano i 10 gradi alcolici, inoltre, la legge non prevede l’indicazione del TMC, in quanto l’alcool è già un conservante naturale che ne protegge le caratteristiche.

    Insomma, se avete a casa birre che hanno superato il TMC, bevetele lo stesso senza preoccupazioni. E ricordate: rispettare il TMC indicato dal birraio consente di bere birra sempre al top della forma!

    6 La birra cruda

    Cosa è una birra cruda considerando che il processo di si chiama “cotta”?

    Un’altra invenzione di marketing massivo, che ha portato a definire birra cruda quelle birre che non subiscono il processo di pastorizzazione, seppur non sia un termine corretto. Se vuoi una birra non pastorizzata, scegli le birre artigianali: per legge sono birre non pastorizzate e non microfiltrate.

    7 Birra solo con la pizza?

    La birra è uno dei prodotti più versatili che si possano abbinare sulla tavola. D’altronde, come dice il grande Lorenzo “Kuaska” Dabove, non esiste la birra, ma esistono le birre. Ogni birra ha un abbinamento ideale con un piatto, che va valutato secondo le caratteristiche di organolettiche di entrambi i prodotti.

    Quindi quando in pizzeria prendiamo “la birra” da abbinare alla pizza, che invece abbiamo scelto in base i suoi ingredienti, rischiamo un abbinamento errato, che rischia solo di rovinarci il pasto.[:]

  • Come degustare la birra

    [:it]L’affermazione che stiamo per fare vi sembrerà strana, ma l’uomo è una macchina da degustazione. Imperfetta, con dei limiti soggettivi, ma lo è.

    Quando ci accingiamo a bere una birra la prima cosa che, spontaneamente, ci viene voglia di fare è di annusarla. Perché?

    Perché, naturalmente, i nostri sensi sono il primo approccio a qualsiasi cosa che stiamo per ingerire. La motivazione è da ricercare nella storia dell’evoluzione, ovvero ai tempi in cui eravamo popolazioni di cacciatori e raccoglitori e i sensi ci aiutavano a scovare la preda, scappare dai predatori, riconoscere il cibo commestibile da quello velenoso o guasto.

    Oggi, con l’evoluzione, i nostri sensi ci aiutano a comprendere cibi e bevande, ci consentono di valutare e “misurare” i parametri collegati all’aspetto, all’aroma, al sapore e a tutte le caratteristiche complessive del prodotto, ci danno modo, insomma, di eseguire l’analisi sensoriale,  o più semplicemente, la degustazione.

     Seppur ognuno di noi sia dotato di una propria soggettività, la conoscenza e l’esperienza consentono di usare l’analisi sensoriale per raccontare e valutare un prodotto.

    Quando parliamo di birra ci piace citare quello che insegna da anni Unionbirrai, l’associazione di categoria dei piccoli birrifici indipendenti, ovvero di essere prima di tutto dei bevitori consapevoli. Consumatori che, senza nulla togliere al piacere della bevuta, danno la giusta attenzione ai primi sorsi della birra, al fine di comprenderla e ricordarla.

    Passando alla pratica, come degustiamo la birra?

    Vi spieghiamo come fare un’analisi descrittiva, che ha lo scopo di individuare tutte le caratteristiche del prodotto usando vista, olfatto, gusto e tatto.

    Vista (esame visivo)

     La prima cosa che valutiamo è la schiuma. Ogni birra ha più o meno schiuma, a seconda dello stile a cui è ispirata.

    Valutiamo se è scarsa, presente o abbondante; poi passiamo a valutarne il colore, che può andare dal bianco al marrone, passando per avorio, beige, cappuccino e in alcuni stili anche rosato; infine la persistenza: quanto dura nel bicchiere? Da pochi secondi (breve) in crescendo (media), fino alla persistenza per più minuti (lunga).

    Seconda valutazione visiva: la birra.

    In questo caso definiamo il colore, che può andare dal giallo paglierino al nero, con tante sfumature come giallo dorato, ambrato, ramato, marrone,  nero, rosato. Della birra valutiamo anche la sua trasparenza, ovvero se è velata o limpida.

    Naso (esame olfattivo)

    Anche se l’evoluzione ci ha fatto perdere la sensibilità agli odori rispetto al passato, oggi l’uomo è potenzialmente in grado di distinguere circa 10.000 profumi diversi. Per aiutarci possiamo contare sui ricordi olfattivi della nostra vita quotidiana, che sono ormai parte della nostra memoria.

    Quando analizziamo una birra valutiamo la sua intensità, ovvero quanto ha marcate le sensazioni aromatiche (poco intensa, intensa, molto intensa), e la sua persistenza, ovvero quanto permane la percezione degli aromi (breve, media, lunga). Successivamente definiamo le macro famiglie di aroma in cui possiamo inscrivere gli odori che sentiamo. Le principali (e più comuni per tutti) sono: maltato, erbaceo, floreale, fruttato, speziato, affumicato e tostato, animale, chimico.

    Bocca: esame gustativo e tattile

    L’organo principalmente coinvolto nell’atto gustativo è la lingua, ricca di papille con recettori che inviano input al cervello per il riconoscimento del tipo di gusto. I gusti, ricordiamolo, sono cinque: dolce, salato, amaro, acido, umami (a cui presto sarà ufficialmente aggiunto il grasso).

    Quando descriviamo le sensazioni di una birra in bocca valutiamo sia il suo gusto sia la sua sensazione tattile.

    Il tatto, infatti, fornisce informazioni sulle caratteristiche di “consistenza” della birra e possiamo valutarlo grazie ai recettori che si trovano sulle guance, sulla lingua, sul palato ed anche sulle labbra.

    Valuteremo l’intensità gustativa (da poco intensa a molto intensa) per poi descrivere quali gusti sentiamo, anche più di uno perché difficilmente una birra è monocorde. Infine analizziamo la sua consistenza in bocca, ovvero il corpo, che può essere acquoso, esile, medio, pieno. Anche in questo caso possiamo valutare la persistenza delle sensazioni gustative in bocca, valutando se è breve, media o lunga.

    Le sensazioni tattili che possiamo riconoscere in una birra sono secchezza, astringenza, frizzantezza, metallico, calore.

    La fase finale dell’analisi descrittiva di una birra si conclude con la valutazione delle sensazioni provenienti dal retrogusto e dal retrolfatto. Ovvero quanto sono intensi e persistenti i sapori e gli odori della birra dopo aver bevuto.

    Il giudizio finale

    A questo punto siamo giunti alla fine dell’analisi sensoriale, al momento in cui bisogna tirare le conclusioni riguardo all’armonia della birra degustata. La domanda che ci poniamo è proprio: quello che abbiamo visto, annusato e gustato è in equilibri tra le diverse componenti? È quello che ci aspettavamo?

    Se la risposta è sì, allora la birra potrà essere definita armonica (in alternativa la giudicheremo abbastanza o poco armonica).

    Naturalmente non sarà facile le prime volte, ci assaliranno i dilemmi e metteremo in dubbio i nostri sensi, ma non preoccupatevi: con la pratica diventerà sempre più facile e bere una birra da “bevitori consapevoli” sarà davvero un piacere.

    Quindi, in alto le pinte, iniziamo subito![:]

  • Come fare la birra: la produzione

    [:it]Ringraziata Madre Natura per la varietà degli ingredienti tra cui scegliere, per il birraio è giunto il momento di dedicarsi alla produzione della birra.

    Il processo di produzione della birra viene denominato “cotta” (nelle prossime puntate sfateremo un mito proprio riferendoci a questo termine, memorizzatelo!) e consiste in diverse fasi in sequenza che portano a ottenere un mosto zuccherino che verrà poi fermentato e, quindi, diventerà birra.

    Quali sono queste fasi? Vediamole in maniera sintetica.

    Macinatura e ammostamento

    Il malto viene macinato con un mulino e ridotto grossolanamente.

    Nel tino di ammostamento, il primo dei tini dell’impianto di produzione, viene miscelato il malto (o il mix di malti e cereali scelto) con acqua e si inizia un processo di riscaldamento in diverse fasi, affinché si avvii l’azione degli enzimi. A ogni temperatura, partendo dai 45/50 gradi fino ad un massimo di 78 gradi, gli enzimi agiscono sulle proteine e zuccheri del malto.

    Semplificando, possiamo riassumere che gli enzimi lavorano per scindere le gli amidi più complessi, per avere zuccheri facilmente fermentescibili, creare nutrienti per i lieviti, avere o meno destrine, degradare le proteine. Ogni enzima che viene attivato ha riflessi sul gusto finale della birra, per questo ogni birraio ha una propria ricetta in cui segna temperature e tempi dell’ammostamento. Tutti gli enzimi, comunque, vengono inattivati a 78 gradi.

    Filtrazione

    A questo punto il mosto viene filtrato, separando le trebbie (i residui del malto) dal liquido. Le trebbie vengono anche “lavate” con acqua a circa 77 gradi, che estrae tutto lo zucchero rimasto all’interno.

    Bollitura e whirpool

    Il mosto così ottenuto, carico di zuccheri, passa nel tino di bollitura, dove è bollito al fine di concentrare il mosto, sterilizzarlo, inattivare gli enzimi ancora vitali, favorire la formazione e la precipitazione delle restanti proteine.

    Questo processo, che dura tra i 60 e i 120 minuti, è anche il momento in cui viene aggiunto il luppolo, in più fasi, secondo quantitativi e tempi scelti dal birraio per la birra che vuole produrre. In generale, i luppoli che rilasciano l’amaro alla birra vengono introdotti all’inizio della bollitura, quelli che invece rilasciano aroma alla fine.

    Al termine di questa fase il mosto passa nel whirlpool, una vera e propria “centrifuga” che crea un vortice che accumula le particelle pesanti per consentirne l’eliminazione.

    Fermentazione

    Il mosto viene raffreddato con uno scambiatore di calore – che lo porta alla temperatura ideale per la fermentazione del ceppo di lievito scelto – e convogliato nel tank di fermentazione. Si inocula il lievito e viene aggiunto ossigeno per farlo attivare. Così, dopo avere consumato tutto l’ossigeno, il lievito inizierà a fermentare con un pieno di forze.

    La fermentazione anaerobica (ovvero quella che inizia quando il lievito ha finito l’ossigeno) trasforma gli zuccheri in alcool etilico e anidride carbonica. A temperature alte di fermentazione, e a seconda del ceppo di lievito scelto, si formano spesso anche sostanze aromatiche e/o precursori di sostanze aromatiche che si svilupperanno poi durante la maturazione.

    La fermentazione avviene a temperature diverse, a seconda del ceppo di lievito scelto dal birraio e quindi dallo stile di birra che si vuole ottenere.

    La fermentazione primaria, nella fase tumultuosa, dura circa una settimana per le temperature più basse, circa due- tre giorni per quelle più alte.

    La fermentazione secondaria, o maturazione, può avvenire in diversi modi. È importante perché genera reazioni secondarie di affinamento dovute ai lieviti: termina la trasformazione degli zuccheri in alcool portando alla saturazione della birra con anidride carbonica e la formazione di esteri. In questa fase può essere aggiunto ancora luppolo, per dare più carattere alla birra (dry hopping).

    La maturazione in tank prevede un abbassamento graduale della temperatura, dando modo ai lieviti di lavorare lentamente per formare aromi ancor più complessi e chiarificare la birra con la precipitazione delle sostanze pesanti.

    La maturazione in bottiglia ha un primo step che prevede l’aggiunta di zuccheri e lieviti per avviare una rifermentazione che consente il consumo dell’ossigeno presente nel collo del contenitore e crea anidride carbonica, un secondo che consiste nel portare le bottiglie a freddo per far maturare la birra secondo i principi già descritti.

    Mentre le birre rifermentate in bottiglia sono già nel loro contenitore finale, quelle maturate in tank alla fine del processo vengono confezionate in contropressione in bottiglia, lattine o fusti.

    A questo punto sono pronte ad arrivare sulle nostre tavole!

    Cheers![:]

  • Come fare la birra: le materie prime

    [:it]Produrre birra è un’alchimia di ingredienti. Quattro ingredienti base + la mano creativa e professionale del birraio possono creare delle birre variegate e, seppur ispirate a stili già codificati, con un carattere unico.

    Acqua

    È il primo ingrediente nella lista presente in etichetta, perché rappresenta fino al 90% della birra.

    Dal Novecento i birrai hanno iniziato ad intervenire sulle caratteristiche chimiche dell’acqua modificando il pH e i sali minerali, per avere delle acque compatibili con lo stile di birra dai produrre. Ogni stile, infatti, ha “la sua acqua”, ed alcuni degli stili di birra più famosi sono diventati celebri grazie alle caratteristiche dell’acqua usata per produrli.

    Due esempi: le pilsner di Boemia realizzate con acqua estremamente morbida tipica delle falde acquifere vicine al luogo di produzione; le ale inglesi di Burton-on-Trent (Inghilterra) fatte con acqua particolarmente dura tipica di quella zona.

    Malto d’orzo e altri cereali

    Il malto più usato per produrre birra è quello di orzo. Un prodotto che si ottiene dalla maltazione del chicco del cereale, che viene sottoposto a germinazione, essiccazione e tostatura, al fine di attivare gli enzimi contenuti nel chicco ed estrarre gli zuccheri semplici che daranno nutrimento ai lieviti.

    La tostatura del malto è il processo grazie al quale i malti prendono colori e caratteristiche differenti, che influiscono poi sul colore e le caratteristiche organolettiche della birra.

    La ricetta per fare la birra spesso presenta malti diversi a cui spesso vengono anche aggiunti altri cereali. Alcune tipologie di birra prevedono, infatti, l’uso di frumento (come Blanche e Weisse), ma ci sono numerose birre prodotte anche con l’uso di farro, grano duro (e grani antichi), segale, avena, etc.

    Luppolo

    Il luppolo è una pianta a fiore rampicante della famiglia delle Cannabacee. Si trova in natura sia come pianta selvatica sia coltivata, con diverse varietà che spaziano tra le più amaricanti a quelle più aromatizzanti, tutte con la caratteristica di avere proprietà conservanti e antiossidanti.

    Per produrre birra si utilizza solo il fiore femminile, ricco di resine e oli essenziali, nella fase di bollitura e per alcuni stili anche a freddo, durante la maturazione, nel cosiddetto dry hopping. Gli elementi oleosi favoriscono lo sviluppo dei profumi della birra e le resine donano il caratteristico gusto amaro e l’azione conservante.

    Prima della scoperta delle caratteristiche del luppolo per aromatizzare e amaricare le birre si utilizzavano piante aromatiche.

    Il luppolo influenza le caratteristiche organolettiche della birra nell’intensità dell’amaro e nel bouquet aromatico che spazia dall’agrumato all’erbaceo, dal floreale al terroso.

    Lievito

    Il birraio fa il mosto, il lieto fa la birra, dice il detto.

    Infatti questo ingrediente gioca un ruolo fondamentale nella creazione finale della birra. Il lievito agisce sul mosto trasformando gli zuccheri in alcool e anidride carbonica e, a seconda del ceppo e delle temperature di fermentazione, produce aromi e componenti gustative.

    I lieviti usati nella birra sono di due tipologie:

    • Saccharomyces cerevisiae per le birre ad alta fermentazione (solitamente affiora a fine fermentazione e predilige temperature tra i 15 ed i 30°)
    • Saccharomyces pastorianus per le birre a bassa fermentazione (precipita a fine fermentazione e predilige temperature di 6-15°)

    Alcune birre vengono prodotte anche con fermentazione spontanea, prevedendo quindi l’uso di lieviti selvaggi e vari microorganismi, o con l’aggiunta di batteri lattici.

    Altri ingredienti

    Accanto ai quattro ingredienti base esistono anche altre aromatizzazioni che vengono usate per fare la birra: spezie, frutta e naturalmente l’italianissima iniziativa di usare uva e mosto (fresco o cotto) per la creazione delle Italian Grape Ale.

    Non mancano ingredienti originali che sono stati usati negli anni, come ostriche, bacon, marshmallows, nero di seppia, e tantissime altre stranezze (per citarne una: malto affumicato con sterco di capra).[:]

  • Destino, ingegno e scoperte: la storia della birra

    Credete nel destino o ritenete che tutto quel che accade sia una casualità? Comunque la pensiate, dobbiamo certamente ringraziare il fato se oggi possiamo bere la birra. È stato, infatti, un caso fortuito a dare i natali a questa bevanda

    Tra il 5000 e il 3000 a.C. nella Mezzaluna fertile, storica regione del Medio Oriente, l’abbondanza di acqua e la diffusione della coltivazione dei cereali hanno creato le condizioni ideali per far nascere la birra.

    Chi ha inventato la birra?

    La storia della birra parte da un vaso di cereali dimenticati all’aperto sotto le intemperie meteorologiche che grazie a lieviti e microrganismi si trasforma (ai tempi quasi per magia) nella prima birra al mondo, un prodotto alcolico con importanti caratteristiche: rendeva l’acqua potabile, dava energia e sostentamento al pari di un pane liquido, inebriava.

    Dopo la scoperta, la birra è diventata subito una risorsa, nonché ricchezza, un bene importantissimo sia nei riti religiosi che nel consumo civile, considerato un vero e proprio dono degli dei.

    La birra fu inventata dai sumeri

    Le prime testimonianze “scritte” le abbiamo grazie al ritrovamento delle Blau Monuments, una serie di tavolette di argilla provenienti dalla Mesopotamia (oggi custodite al British Museum), documenti d’epoca sumera databili intorno al 3100 a.C. che contengono registrazioni di transazioni economiche inerenti la birra.

    I Sumeri hanno lasciato anche testimonianze sulla produzione che ci narrano di “case della birra” gestite da donne, dove veniva cotta la birra d’orzo, sikaru, quella di farro, kurunnu, quella addolcita con zucchero di datteri, la niud, e la birra ordinaria, la bi-du.

    Questi pionieri riuscivano a replicare la produzione della birra, seppur senza basi sui processi chimico-fisici, con un po’ di ingegno: usavano sempre lo stesso contenitore per la fermentazione (dove venivano inconsapevolmente conservati i lieviti) e per creare colore e gusto sempre simile veniva usato come base una pagnotta cotta in forno di cui potevano controllare meglio il peso e la tostatura.  Gli aromi, invece, erano gestiti con aggiunta di erbe, fiori, bacche, resine, frutta e miele.

    Come si produceva la birra

    Sono tanti i documenti che ci narrano la produzione della nostra amata bevanda, tra questi ricordiamo l’Epopea di Gilgamesh (ciclo epico in caratteri cuneiformi scritto tra il 2600 e il 2500 a.C.), il Codice di Hammurabi (1728-1686 a.C.) primo documento legislativo che indicava i criteri di fabbricazione della birra, prevedendo la condanna a morte per i truffatori.

    Sugli antichi Egizi e la loro tradizione brassicola si potrebbe parlare a lungo, alla loro civiltà è legata la massima espressione della produzione della birra, lo zythum, che ritroviamo anche nei corredi funerari dei Faraoni, come merce di scambio e di pagamento, come medicinale (il papiro Ebers del 1550 a.C. racconta anche le proprietà curative).

    Diffusione della birra

    Fu grazie alle popolazioni nomadi che la birra si iniziò a diffondere in tutti i territori conosciuti, seppur ebbe un brusco arresto storico all’arrivo nei domini di Romani e Greci.

    Età classica

    I Greci, infatti, la apprezzarono moderatamente e soprattutto durante le Olimpiadi, ma non potevano produrla per scarsità di materie prime e di conoscenza delle tecniche di produzione, così si limitavano a importarla in modesti quantitativi.

    I Romani, invece, la disprezzarono considerandola una bevanda corrotta e deteriorata, fatta “di grano marcio” e destinata agli schiavi, non paragonabile al loro amato vino. Seppur, c’è da precisare, nei territori italiani vi erano già tracce di produzioni, testimoniante oggi dai ritrovamenti archeologici da Nord a Sud, soprattutto tra gli Etruschi, che producevano una bevanda fatta di cereali e frutta. Nell’antica Roma, però, le classi ricche non la consumavano, le donne nobili la usavano solo come cosmetico e gli scrittori dell’epoca la denigravano.

    Ebbe successo tra le fasce più povere della popolazione e nelle zone più periferiche dell’impero, soprattutto tra i legionari (famose le lettere dal Vallo di Adriano con la richiesta di forniture di birra).

    Solo dal 476 d.C., con il crollo dell’Impero Romano d’Occidente e le invasioni dei Barbari, aumenta la presenza della birra nei territori romani.

    Medioevo

    Nel Medioevo inizia una diffusione più ampia e sottoposta a delle vere e proprie norme, la produzione cambia grazie all’introduzione del Gruyt, un mix di spezie che rendeva unica ogni produzione.

    Intorno al 1100 d.C. arriva anche la scoperta delle proprietà conservanti di una pianta, l’humulus lupulus, il luppolo, a opera di suor Hildegard von Bingen (1098-1179) che ne teorizzò le proprietà stabilizzanti e conservanti, contribuendo così alla sua introduzione nella produzione brassicola.

    L’uso del luppolo nella birra ne aumentava la conservabilità, migliorava il gusto, contribuiva a una migliore chiarificazione, favoriva la schiuma più persistente, la rendeva più stabile e facilmente conservabile, consentendo di conseguenza anche la possibilità di maggiori scambi commerciali.

    Rinascimento

    Un’altra tappa fondamentale della birra è da segnare alla data 1516 in Baviera, dove fu emanato l’Editto di purezza, il Reinheitsgebot , che stabiliva le materie prime da usare (acqua, malto d’orzo e luppolo), limitava la produzione in un determinato periodo dell’anno e la vendita con prezzi standardizzati.

    Rivoluzione industriale

    Il successo commerciale mondiale della birra e l’aumento dei consumi si ha, infine, con la Rivoluzione Industriale.

    Le scoperte tecnologiche, il cilindro di tostatura per i malti, l’invenzione del termometro, il densimetro, la refrigerazione, il motore a vapore, trasformarono  del tutto i birrifici e fecero fare il salto di qualità al prodotto.

    Una nuova era ancora tutta da scrivere

    Inoltre nei decenni successivi, fu isolata e riprodotta la prima cellula di lievito, i lavori di Pasteur e di Hansen sulla fermentazione spianarono la strada alla comprensione della sua azione e di quella dei batteri, dando il via ad una nuova era per la birra. Che, va detto, se da un lato ha portato alla globalizzazione della produzione e purtroppo alla standardizzazione industriale degli stili birrai, dall’altro ha dato il via anche ad una nuova rivoluzione, quella della birra artigianale.